In questa scansione temporale si possono individuare due situazioni: la prima è quella in cui questi territori erano interessati da una stessa condizione che si definisce col termine di “retrovie” dove i soldati facevano tappa di avvicinamento al fronte incrociando quelli che da là tornavano.
Era la zona dei feriti e dei moribondi sulla linea a volte sottile tra la vita e la morte, tra la ragione e la follia, tra il non essere più nel pericolo del combattimento e il non essere ancora sicuri a casa, tra essere in un’esistenza precaria e il non essere appunto, terra di nessuno al contrario, un non luogo, un luogo dell’attesa, appesi a un filo e aggrappandosi a quel filo, la rete di un campo di prigionia, il foglio di una lettera o la matita di una poesia, un tavolo operatorio, i seni di una prostituta, quel filo-confine che passò tra le urla di una rivolta e gli spari della decimazione. In quella zona di retrovie c’erano case del soldato, bordelli, tribunali, campi di prigionia e ospedali, ospedali, ospedali. Tutti non luoghi. E i civili? Quali le loro sofferenze, le loro paure, le violenze e le speranze ma anche i gesti di generosità e i sentimenti di pietà? Tutti insieme, militari e civili, in quel grande dietro le quinte di quell’inferno che era la linea del fronte.
La seconda situazione è quella legata agli avvenimenti dell’ottobre 1917 con lo sfondamento a Caporetto e il successivo spostamento della linea del fronte sul Piave. Quest’anno ho voluto ricorre ad una suggestione… Ogni confine delimita almeno due entità: due nazioni, due cortili, due parole. Ma spesso quel tratto che separa – o che unisce – non è una semplice linea ma una zona più o meno ampia, ha un proprio spessore o una larghezza: un muro, lo spazio bianco in una pagina scritta, una fascia di territorio… Durante la Grande Guerra il confine in zona di combattimento era costituito da due linee di trincee contrapposte e in mezzo la terra di nessuno. Ma alle spalle di quelle trincee – da entrambe le parti – esisteva un’altra zona, un’altra terra di nessuno e quindi un oltreconfine al contrario.
Francesco Accomando